lunedì 18 novembre 2019

Quando un cesareo può salvare una vita.




L'ennesima tragedia, avvenuta in un ospedale vicino, ci tocca il cuore e ci fa riflettere.

I giornali locali riportano la notizia di un nuovo lutto che colpisce quella che avrebbe dovuto essere un'occasione di festa. Una bambina è morta a termine di gravidanza, la madre non ha fatto in tempo neppure ad iniziare il travaglio, solo una strana sensazione l'ha spinta a chiedere l'intervento dei medici.
In rete i commenti aumentano. C'è chi c'è già passata, rivive il dolore e lancia accuse.

Questa tragedia poteva essere evitata?
Il cesareo richiesto dalla madre avrebbe potuto salvare la bambina?

Dalle notizie sui giornali pare che la gravidanza fosse fisiologica, che gli ultimi controlli non avessero riscontrato anomalie, che non ci fosse alcun motivo medico per intervenire, a parte la sensazione della mamma che qualcosa non andasse, uno stato d'ansia a cui la medicina diagnostica non aveva trovato conferme.

Rimane la domanda, a cui forse l'autopsia potrà dare risposte: poteva un cesareo salvare quella bambina?
Il poco interventismo è stato fatale?

A volte sembra quasi che ci siano due battaglie opposte: quella contro "questa smania del naturale a tutti i costi", non praticando un cesareo su richiesta della donna, o praticandolo troppo tardi. L'altra battaglia, quella che da anni noi e tanti altri gruppi di madri e professionisti stiamo portando avanti, supportata dalle evidenze scientifiche, una battaglia per demedicalizzare il parto e diminuire il numero dei cesarei, riducendo quelli inutili.

Ma forse non si tratta di due battaglie opposte, forse si tratta della stessa battaglia, poiché comune è la radice.
E la radice è proprio in quella crescente espropriazione delle competenze della donna nel parto e nella delega al sistema sanitario.

Così, da una parte c'è stata una sempre maggiore medicalizzazione: il parto è in mano ai medici che decidono ed operano per "far partorire" le donne, e lo fanno utilizzando gli strumenti che meglio sanno usare, ovvero il controllo, l'intervento, il bisturi.  Da qui il crescente numero dei cesarei.
Dall'altra parte ci sono la pretesa che il medico non sbagli e la mancanza di fiducia: "Tu sei l'esperto? Mi hai detto che se voglio il figlio sano e rimanere viva devo lasciar fare a te? E allora fai il tuo dovere e fallo bene!". La mancanza di fiducia che ne consegue è inevitabile: le decisioni non sono condivise, la donna non si sente responsabile delle sue scelte, anzi la sua parola non viene neppure ascoltata, il rapporto con chi "la farà partorire" si basa su un unico preciso assioma: lui le consegnerà il figlio vivo e sano. Se questo non accadrà, il senso di tradimento sarà dietro l'angolo.

Se dunque all'origine di tutto questo c'è un'unica grande concausa, anche la risposta sarà una sola: occorre riportare la donna al centro dell'assistenza al parto. Non si può pretendere di abbassare il numero di cesarei senza prima promuovere l'empowerment delle donne, restituir loro il parto e, di conseguenza, demedicalizzare l'assistenza, offrire un'assistenza che non si basi sulla delega, ma su percorsi condivisi, fondati sulla comprensione, sul consenso e, quindi, sulla fiducia.

Occorre far ricorso a medicalizzazione e cesarei solo quando servono a salvare vite, e non quando servono a salvare week end, cenoni o vacanze. Questo aumenterà la fiducia delle donne e ridurrà il numero dei cesarei in modo appropriato, senza che ci sia una percezione del "naturale a tutti i costi".
E' necessario che le donne acquistino la consapevolezza che, quando viene offerto un intervento medico, è solo perchè serve davvero a mamma e bambino, senza secondi fini, e che negli altri casi lei ha in sè le competenze necessarie per farcela e per mettersi in ascolto con la parte più profonda di sè.

Occorre che le donne si sentano ascoltate.
Occorre ristabilire un'alleanza tra le madri e gli operatori sanitari.

Questo non  abbatterà il dolore e il frastornamento che accompagneranno sempre le tragedie, che in ogni caso non possono essere azzerate, ma restituiranno al parto una dimensione più umana, che oggi manca, faciliteranno la comprensione di determinati processi e, forse, diminuiranno il numero delle tragedie evitabili.

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Denise Montinaro

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