Parto in casa dopo cesareo _ (di Letizia)


 Quando mi è capitata l'opportunità di parlare del mio VBAC ho sentito come un "terremoto interiore", uno slancio profondo a raccontarmi come poche altre volte nella vita. 

Devo partire da lontano... ma non troppo!


 Durante il corso di accompagnamento alla nascita sento parlare per la prima volta di parto in casa. Una possibilità che accarezza la mia mente, ma rapidamente si perde nel turbinio vorticoso di paure, ansie e preoccupazioni per l'imminente parto. Mai però avrei immaginato che quelle stesse parole sarebbero diventate uno spiraglio di salvezza, tanto ricercato quanto vitale dopo il buio del cesareo. 

Una seconda gravidanza non era programmata tanto la cicatrice interiore era marcata quanto quella fisica. Ma non ho avuto dubbi, sin dal primo momento. Come in uno scatto d'impeto mi riprometto:” avrò un parto naturale, il mio Vbac; in casa, nel mio nido, nel mio rifugio, intimo protetto, lontano da occhi e sguardi indiscreti. Questa volta alcun camice bianco avrebbe deciso per me, alcun camice metterà le mani sul mio corpo senza una reale necessità. 

Inizio coltivando conoscenza, corrette informazioni, determinazione e consapevolezza, parole chiave per un parto rispettoso della fisiologia. Sin dalle prime settimane di gravidanza prendo contatto con l'ostetrica che mi avrebbe guidato e accompagnato verso una meta "diversa", di riscatto, di rinascita. Partiamo studiando la mia cartella clinica: con rammarico osservo che alcunché di patologico spiegava il ricorso al cesareo. 

Mi occorreva solo tempo, intimità, silenzio. Ciò nonostante non posso nascondere che una certa ansia si stava insinuando a mo’ di cornice intorno a quel progetto meraviglioso e complesso qual è il parto. Ma proseguo nel percorso: decido di custodire, come uno scrigno prezioso, il mio desiderio senza comunicare ad alcuno la mia scelta. Avrei partorito tra le mura domestiche con le sole persone a me care, senza interferenze ed ingerenze esterne. 

I mesi trascorrono più rapidamente di quanto mi aspettassi. La mia ostetrica mi rassicura, mi esorta a sentire la mia bambina, a mettermi in comunicazione con lei parlando, accarezzando, sorridendo, sussurrando dolcemente il desiderio di abbracciarla presto. Cerco di visualizzare il suo viso, le sue manine, i suoi occhi attraverso una meditazione profonda, silenziosa. Tralascio concetti desueti, luoghi comuni non suffragati dai dati, dalle evidenze scientifiche come la famigerata rottura dell'utero a causa della pregressa cicatrice. 

E' notte quando al IV giorno della 41esima settimana si rompe il sacco amniotico. Partono le contrazioni, lente ma forti, intense come onde che si infrangono sulla battigia. L'ostetrica arriva presto: eravamo pronte, preparate, aperte all'accoglienza. Non avevo bisogno di nulla che non fosse pace, silenzio concentrazione. Tra una contrazione e l'altra mi sorreggono le mani amorevoli della mia ostetrica, le parole dolci e rassicuranti del papà. Le ore trascorrono lentamente, il tempo sembra sospeso, aleatorio, evanescente. Mi lascio trasportare, sembro fluttuare oltre le nuvole, leggera, quasi evanescente. Riapro gli occhi e sono già le cinque del mattino. Tutto procede bene, con quel passo avrei potuto partorire nel pomeriggio. 

Proprio in quel frangente percepisco come uno squarcio. La mia mente perde lucidità, vacilla, teme, cade nell'angoscia. Nulla lasciava presagire alcunchè di negativo; nessun ostacolo si era frapposto tra me e la bambina se non la mia mente . Lo scoramento prende sempre più corpo, l'ansia si impadronisce dei miei pensieri. Le contrazioni si fermano. Si insinua l'ombra dell'ospedale. Si erano rotte copiosamente le membrane da circa 24 ore e il rischio di una terapia antibiotica si avvicinava rapidamente. Passano alcune ore, tutto tace. Non sento più quel brivido, quel coraggio che mi avevano fatto propendere per il no al ricovero, alla medicalizzazione e alle ingerenze del personale ospedaliero. Il tempo non mi concede tregua, scorre incessante, inesorabile. Sono preda dell'angoscia ma non posso cedere, non voglio credere che il mio progetto, le mie speranze possano vanificarsi inesorabilmente. 

Ed è allora che un moto di orgoglio, di fierezza, infrange il muro della paura. Una doccia calda ed eccole, le contrazioni tornano forti, penetranti, ravvicinate. Il momento si avvicina: ero a 8 cm. Mancava così poco, ma il tempo non era certo dalla mia parte. Un aiuto provvidenziale giunge dalle mani decise e sapienti della mia ostetrica. Da lì è un attimo: tra le braccia c'è la mia piccola, quattro chili di amore puro, incondizionato. I nostri corpi, pelle a pelle sono coccolati tra le braccia amorevoli del papà, accarezzati dalla mano tenera e delicata della donna che non ci ha mai lasciato sole. Penso alla mia mamma che non può vedere quell’affresco straordinario della vita dipinto nel mio cuore. Attendiamo con tenerezza l'arrivo della sorella maggiore: è per lei che desideravo una storia con un finale diverso, in dono la consapevolezza che ogni donna conosce il proprio corpo, sa partorire così come ogni bimbo ha la competenza di venire al mondo senza paure, inquietudini e interferenze. 

Letizia A

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