VBAC al Cristo Re di Roma _ (di C.)

Il mio viaggio verso il vbac è iniziato il 26 giugno 2015, quando dopo 22 ore di travaglio e qualche complicazione nella fase espulsiva, decidono che il mio primo figlio nascerà con tc. Ho dei ricordi confusi del mio lungo travaglio. L’ospedale a cui mi ero rivolta (una piccola struttura vicino casa mia, con una buona maternità) non era attrezzato per l’epidurale ma questo non mi spaventava. Ho sentito ogni contrazione, dall’inizio alla fine e più passava il tempo più le uniche energie che mi rimanevano mi venivano dalla certezza che di lì a poco avrei conosciuto il mio bambino. Mentre (finalmente) decidono che potevo spingere (prima mi avevano detto che dovevo trattenere lo stimolo perché era presto), l’ostetrica che mi assisteva mi ha chiesto:”Ma tu non hai fatto il corso pre parto? Non te lo hanno spiegato come si spinge?”. Avevo fatto un corso a casa proprio con un’ostetrica dell’ospedale, avevo pure ripassato ogni nozione utile negli ultimi giorni! Avrei giurato di aver capito tutto. Fatto sta che D. non si decide a cacciar fuori la sua testolina che pure, mi dicono, si vede. Il suo battito cala qualche istante. Di corsa: devono farmi partorire, è cesareo. Ricordo solo di aver detto al ginecologo “Se è per colpa mia mi impegno a spingere meglio ma non fatemi il cesareo!”. Nulla. Dopo venti minuti però il mio cucciolo è vicino a me e sta bene, quella è la sola gioia che conta, anche se io non ero riuscita da sola a farlo nascere. Mancato impegno, sofferenza fetale, distocia dinamica. Quest’ultima la scrivono sulla mia cartella. Io il vero motivo ad oggi ancora non l’ho capito ma per molto tempo ho dovuto combattere col senso di impotenza che si era impadronito di me. Così, nel frattempo, è iniziato un altro viaggio: la guarigione della mia cicatrice. Era davvero dipeso dalla mia incapacità quel cesareo o era inevitabile? O, al contrario, era evitabile? Avevo già sentito parlare di vbac da diverse amiche che lo avevano fatto e quindi, uscita dall’ospedale, avevo deciso che se fossi rimasta nuovamente incinta non sarei più tornata li. Dopo 13 mesi ecco di nuovo, il test positivo! È in viaggio E.! Comincio subito a dire a mio marito quali sono le mie intenzioni. Non voglio un altro cesareo, voglio un parto naturale. Voglio almeno provarci. Mio marito insiste che un secondo cesareo aveva meno rischi, sarebbe stato più comodo, programmato e poi, se non fossi riuscita nel mio intento, avrei avuto una delusione in meno con cui fare i conti. Insisto. Voglio provarci. Se poi dovrà essere di nuovo cesareo, che sia, ma almeno voglio avere un parto consapevole. Lui si convince e decide di appoggiarmi. Avevo già il nome di una ginecologa del Cristo Re di Roma e così decido di affidarmi alle sue cure. Di quella equipe e dell’ospedale mi hanno sempre parlato bene tutti. Le parlo della mia esperienza e le dico che voglio provare un vbac. Lei mi accompagna per 40 lunghe settimane e mai, dico MAI, prima della 37esima si sbilancia sul mio parto. Mi rassicura però, sempre! Come la prima, anche la seconda gravidanza va liscia. Durante un monitoraggio a 37 settimane, la mia ginecologa mi fa firmare il consenso informato sul vbac. Mi visita, mi dice che ho una dilatazione passiva di 1 cm circa e collo morbido. Mi da appuntamento il 13 aprile in ospedale: “Io sono di turno quel giorno - mi dice - affacciati, così ti visito e vediamo se la faccio nascere io”. Io mi fido e mi affido a lei. Avevo letto articoli, cercato su internet, chiesto consigli. Comunque iniziavo ad avere paura. Quando lei mi ha detto, con un sorriso magico: “Un secondo tc non è più sicuro di un vbac” decido che, basta, che sia quello che deve essere, mi ha portato fino alla fine, sento che di lei posso fidarmi. Avevo sentito poi esperienze di chi già ci era passato, quindi si, era possibile. Era il 13 aprile, 39 + 3. Dalla sera prima avevo qualche contrazione non dolorosa e irregolare. Lascio D. dai nonni col cuore gonfio di emozione e con mio marito ci dirigiamo in ospedale. Vado dalla mia dottoressa, mi visita, fa un’ecografia. Mi dice: “Hai sentito nulla? Ti ho dato un piccolo aiuto. Ora fatti una passeggiata e torna tra un po’”. Seguo il suo consiglio e dopo un’ora torno, senza grandi novità. Dal tracciato qualche contrazione ma niente più. Lei mi rivisita e chiede ad un’ostetrica di darmi un altro aiutino. “Vai a fare colazione ora e se cambia qualcosa torna subito”. Io e S. andiamo a prendere un cappuccino. Comincio a sentire qualche contrazione più forte e capisco che sta cambiando qualcosa, il mio corpo ha mantenuto memoria di quel dolore. Le contrazioni sono sempre più ravvicinate. Torno su, mi visitano e mi mandano al ps per accettazione e ricovero. Ci siamo. La ginecologa scende giù e rimane per un po’ con me durante il tracciato. La vedo scettica perché E. di tanto in tanto rallenta il battito durante le contrazioni. Capisco che se continua così finirà in cesareo di nuovo. Ma a quel punto sono serena. Lei non si pronuncia mai, mi tratta con un’umanità e una pazienza infinite, mi rassicura, tutti lo fanno. Capisco che è importante solo che la mia bambina stia bene e capisco che anche loro vogliono solo questo, quindi mi fido. Mi portano su in reparto, sono le 12.39. Mi mettono in una sala dove trascorro il travaglio con mio marito. Si alternano volti, sono tutti estremamente dolci e comprensivi. Mi tranquillizzano e ci scappa anche qualche risata. Arriva di nuovo la mia ginecologa e porta con lei un ostetrico. Lei va e viene, lui da quel momento rimane sempre lì con noi. Mi asciuga il sudore, mi fa dei massaggi sulla schiena. Ha una tenerezza ed un’umanità infinite, che ancora oggi a ripensarci mi fanno commuovere. Ci mette totalmente a nostro agio. Vado un po’ in bagno. Al ritorno mi visita, “Sei completa - mi dice - prova a spingere”. Mi riviene in mente allora il parto di D. Inizio a spingere e seguo pedissequamente i suoi consigli e le sue indicazioni. Avevo di nuovo paura di sbagliare ma qui non mi stanno esaminando, mi stanno veramente aiutando. Mi indicano passo passo cosa fare e come farlo, quando spingere e quando respirare. Mi fanno sentire la testolina che si affaccia e poco dopo sento E. sgusciare via! Sono le 15:00 in punto. Ricordo lo stupore di mio marito, i sorrisi della mia dottoressa e dell’ostetrico, il pianto di E. Io non ci credo! Sono felice perché mi sono sentita rispettata. Si, perché il dono più grande che chi mi ha assistito mi ha fatto è stato questo: un parto rispettato! È stata questa la mia rivincita. È quello che meritiamo noi mamme e che meritano i nostri piccoli che vengono al mondo. In quel momento, con loro ho capito di aver intrapreso la strada più giusta. Mi commuovo ancora quando ripenso alla tenerezza che l’ostetrico ha usato con mia figlia appena venuta al mondo e provo ancora una gratitudine profonda per coloro che mi hanno accompagnata e sostenuta in quei momenti. Ho imparato che il parto può essere imprevedibile ma dobbiamo scegliere, nei limiti del possibile, di farci accompagnare da chi dimostra di rispettare noi e i piccoli che mettiamo al mondo. La mia rinascita è stata questa! Buon cammino a tutte


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