Nel mese delle pari
opportunità, ad Altamura, si è parlato di violenza ostetrica.
Le parole "violenza ostetrica" ci arrivano come un pugno allo stomaco.
Soprattutto alle
donne attiviste come noi, quelle che si raccontano nei cerchi, che si ascoltano
in silenzio, che accolgono il dolore delle altre e si tendono la mano l'un
l'altra.
Perché parliamo di
violenza ostetrica ce lo spiega Elena Skoko, madre attivista, artista,
promotrice della campagna #bastatacere, dell'indagine della Doxa e
dell'Osservatorio sulla Violenza Ostetrica in Italia (OVO Italia).
Il termine
"violenza ostetrica" è stato scelto lavorando per comparazione,
traducendolo in italiano dalla legislazione degli altri Stati in cui è
riconosciuta come violenza di genere, come ad esempio in Venezuela.
Nella campagna
#bastatacere, per la prima volta in Italia le donne hanno fatto luce sui propri
vissuti traumatici al momento del parto. Fino a quel momento, questo avveniva
solo in cerchi di donne ristretti e
protetti.
Come emerge
dall'indagine Doxa-OVOItalia sulla violenza ostetrica, per 4 donne su 10 il
trattamento ricevuto durante il primo e spesso unico parto è stato lesivo della
propria dignità e integrità psicofisica.
Ma chi sono le donne
che hanno risposto alla campagna? Chi ha raccontato le proprie esperienze di
violenza ostetrica subita?
Gabriella
Falcicchio, ricercatrice e docente universitaria, ci racconta che le donne di
#bastatacere erano quelle in grado di rispondere in quel momento.
Cioè quelle che
avevano già in qualche modo riconosciuto una deviazione del proprio vissuto
rispetto alla normalità.
In poche parole,
solo le donne molto avanti nel processo di consapevolezza di sé e del proprio
vissuto traumatico hanno raccontato la propria esperienza.
Questo ci dà il
senso di quanto il fenomeno della violenza ostetrica sia grave, molto più di
quanto emerso dai dati dell'indagine.
Perché?
Perché chi subisce
un trauma di solito ha un problema: non trova le parole. Difficilmente riesce a
raccontare cos'è successo, cos'ha subito.
Molte donne non sono
intercettabili, perché il trauma viene incapsulato, congelato, nascosto in un
angolino della nostra memoria per continuare a vivere.
Per continuare a
vivere la propria quotidianità una spanna sopra la pazzia.
Siamo ogni giorno
testimoni di una normalizzazione della violenza ostetrica.
Capita a noi donne
di vedere il cesareo e l'epidurale come una possibile via di fuga.
Solo dopo, in buona
parte dei casi, ci rendiamo conto che non era affatto una soluzione migliore
né, troppo spesso, giustificata.
La nostra società
patriarcale blocca noi donne dalla nascita. Come sottolinea la Falcicchio, ci
chiede di "fare le brave" e nella gravidanza e nel parto raggiunge
l'apoteosi.
Ci dicono in che
posizione metterci, come e quando spingere, ci aiutano a spingere.
Anche se
"l'aiutino" spesso si traduce con la manovra di Kristeller, pratica
pericolosa per la salute di madre e nascituro.
È Rosaria Santoro,
ostetrica, a parlarci delle "normali" pratiche che noi donne
riceviamo al parto.
Mette a confronto i
paradigmi medico assistenziali: da una parte il modello medico rituale, con
protocolli standardizzati e un'assistenza finalizzata al controllo della donna.
Dall'altra il
modello medico scientifico, basato sulle linee guida, senza routine
prestabilite e interventi inappropriati. È il modello midwifery, che contrasta
la medicina difensiva e gli interessi economici.
E per quanto
riguarda l'allattamento?
La Santoro ci parla
dell'importanza del pelle a pelle e dell'attacco precoce al seno.
Ci dice come la SIN
(Società Italiana di Neonatologia) raccomandi di attaccare il neonato nella
prima mezz'ora dopo il parto.
Cosa possono fare le
madri?
A suggerircelo è
Michela Cericco, madre volontaria peer to peer, cioè alla pari, da mamma a
mamma.
La Goccia Magica,
l'associazione di cui è presidente, collabora con la Asl di Roma 3 e fornisce
una formazione non solo alle mamme peer, ma anche ai papà peer.
Del resto, anche
Gonzales, pediatra e autore catalano, non ha mai allattato.
Ma questo non gli ha
negato la possibilità di sostenere le madri vicine e lontane, anche attraverso
l'Associazione Catalana per l'Allattamento Materno di cui è fondatore e
presidente.
Elena Skoko
definisce "advocacy" l'attività di queste madri (e padri) alla pari,
vista come evoluzione del termine attivismo.
Un'attività che si
concentra sull'attivismo dei diritti.
Anche in questi
giorni di grande mobilitazione in difesa dei diritti delle famiglie di ogni
tipo, noi madri abbiamo sempre meno tempo per le manifestazioni.
Possiamo però
utilizzare strumenti che ci permettono di far sentire la nostra voce anche a
distanza, come ad esempio internet.
Internet ci aiuta a
fare informazione e cultura attraverso campagne social, oltre che pressioni dal
basso alle istituzioni.
Le madri possono
contare sul potere delle esperienze circolari per unirsi contro il patriarcato
e la violenza.
Costruendo reti di
sostegno tra madri, cerchi di sostegno a livello locale, nazionale e
internazionale.
Come ci racconta
Antonella Zotti, psicoterapeuta, il primo cerchio di cui facciamo parte è il
ventre di nostra madre.
E i cerchi possono
aiutare le donne a trovare un supporto adeguato.
La Zotti ci porta le
riflessioni di una madre: "Se avessi avuto un sostegno adeguato avrei
fatto il parto naturale"
Ci racconta di come
per questa donna il confronto con una madre di Rinascere al Naturale sia stato
risolutivo, di un rapporto conflittuale con il figlio di 21 anni.
L'esperienza di
parto può lasciare tracce silenziose ma importanti in noi. E con altre donne,
alla pari, è più facile raccontarsi.
L'ascolto
silenzioso, la consolazione, la condivisione, il racconto delle storie di altre
donne, il sollievo sono valori che connotano le esperienze circolari, in cui si
confonde chi aiuta e chi viene aiutato, chi prende e chi dà.
La maternità è un
fatto sociale, non privato.
Il legame tra
neonato e madre è da proteggere, da sostenere, da promuovere.
Siamo tutti chiamati
a tutelare la nascita di ogni bambino e, con lui, di ogni madre.
Ognuno di noi può
fare qualcosa.
Gabriella Falcicchio
ci parla dell'attivismo come di una nuova via percorribile, lontana dalle
risposte classiche di rivalsa o vittimismo.
È questa la via
possibile di cui ci parla Denise Montinaro, presidente della nostra
associazione.
Le madri e i padri
di Rinascere al Naturale, in questi anni si sono attivati per promuovere una
cultura della nascita con al centro la donna, un'informazione libera e
corretta, il sostegno alla pari alle donne in gravidanza, attraverso incontri e
sui social.
Partendo
dall'eccesso di cesarei in Puglia, ricercando il dialogo con le istituzioni
pubbliche e sanitarie.
Denise Montinaro ci
parla del progetto Madri di Comunità, per la costruzione di una comunità
accogliente per le famiglie, basata sul rispetto reciproco, sulla
valorizzazione delle competenze di ognuno, sulla collaborazione, sul sostegno.
Un progetto che
parte proprio dall'allattamento, altra emergenza nel nostro territorio e
soprattutto nel sud della Puglia, dove non esiste ancora una rete capillare di
supporto alle neo madri.
Le donne di
Rinascere al Naturale aprono le porte a chiunque voglia mettersi al fianco
delle madri, consapevole che ognuno può fare la sua parte, seppur piccola, per
promuovere buone pratiche di comunità.
Perché il futuro è
oggi.
È scritto negli
occhi dei nostri bambini.
Grazie a Centro Antiviolenza LiberaMente e Lo Scrigno - Associazione di Promozione Sociale
per l'invito a partecipare e per l'ospitalità
Esterina Marino
Leggi di più sulla pagina FB di Rinascere al Naturale
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