venerdì 12 aprile 2019

Le Madri di Comunità per contrastare la violenza ostetrica Spunti dal convegno del 26 marzo ad Altamura



Nel mese delle pari opportunità, ad Altamura, si è parlato di violenza ostetrica.

L'immagine può contenere: 12 persone, persone che sorridono, persone in piedi e spazio al chiuso

Le parole "violenza ostetrica" ci arrivano come un pugno allo stomaco.

Soprattutto alle donne attiviste come noi, quelle che si raccontano nei cerchi, che si ascoltano in silenzio, che accolgono il dolore delle altre e si tendono la mano l'un l'altra.

Perché parliamo di violenza ostetrica ce lo spiega Elena Skoko, madre attivista, artista, promotrice della campagna #bastatacere, dell'indagine della Doxa e dell'Osservatorio sulla Violenza Ostetrica in Italia (OVO Italia).

Il termine "violenza ostetrica" è stato scelto lavorando per comparazione, traducendolo in italiano dalla legislazione degli altri Stati in cui è riconosciuta come violenza di genere, come ad esempio in Venezuela.

Nella campagna #bastatacere, per la prima volta in Italia le donne hanno fatto luce sui propri vissuti traumatici al momento del parto. Fino a quel momento, questo avveniva solo in cerchi di donne  ristretti e protetti.

Come emerge dall'indagine Doxa-OVOItalia sulla violenza ostetrica, per 4 donne su 10 il trattamento ricevuto durante il primo e spesso unico parto è stato lesivo della propria dignità e integrità psicofisica.

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Ma chi sono le donne che hanno risposto alla campagna? Chi ha raccontato le proprie esperienze di violenza ostetrica subita?

Gabriella Falcicchio, ricercatrice e docente universitaria, ci racconta che le donne di #bastatacere erano quelle in grado di rispondere in quel momento.

Cioè quelle che avevano già in qualche modo riconosciuto una deviazione del proprio vissuto rispetto alla normalità.

In poche parole, solo le donne molto avanti nel processo di consapevolezza di sé e del proprio vissuto traumatico hanno raccontato la propria esperienza.

Questo ci dà il senso di quanto il fenomeno della violenza ostetrica sia grave, molto più di quanto emerso dai dati dell'indagine.

Perché?

Perché chi subisce un trauma di solito ha un problema: non trova le parole. Difficilmente riesce a raccontare cos'è successo, cos'ha subito.

Molte donne non sono intercettabili, perché il trauma viene incapsulato, congelato, nascosto in un angolino della nostra memoria per continuare a vivere.

Per continuare a vivere la propria quotidianità una spanna sopra la pazzia.

Siamo ogni giorno testimoni di una normalizzazione della violenza ostetrica.

Capita a noi donne di vedere il cesareo e l'epidurale come una possibile via di fuga.

Solo dopo, in buona parte dei casi, ci rendiamo conto che non era affatto una soluzione migliore né, troppo spesso, giustificata.

La nostra società patriarcale blocca noi donne dalla nascita. Come sottolinea la Falcicchio, ci chiede di "fare le brave" e nella gravidanza e nel parto raggiunge l'apoteosi.

Ci dicono in che posizione metterci, come e quando spingere, ci aiutano a spingere.

Anche se "l'aiutino" spesso si traduce con la manovra di Kristeller, pratica pericolosa per la salute di madre e nascituro.

È Rosaria Santoro, ostetrica, a parlarci delle "normali" pratiche che noi donne riceviamo al parto.

Mette a confronto i paradigmi medico assistenziali: da una parte il modello medico rituale, con protocolli standardizzati e un'assistenza finalizzata al controllo della donna.

Dall'altra il modello medico scientifico, basato sulle linee guida, senza routine prestabilite e interventi inappropriati. È il modello midwifery, che contrasta la medicina difensiva e gli interessi economici.

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E per quanto riguarda l'allattamento?

La Santoro ci parla dell'importanza del pelle a pelle e dell'attacco precoce al seno.

Ci dice come la SIN (Società Italiana di Neonatologia) raccomandi di attaccare il neonato nella prima mezz'ora dopo il parto.

Cosa possono fare le madri?

A suggerircelo è Michela Cericco, madre volontaria peer to peer, cioè alla pari, da mamma a mamma.

La Goccia Magica, l'associazione di cui è presidente, collabora con la Asl di Roma 3 e fornisce una formazione non solo alle mamme peer, ma anche ai papà peer.

Del resto, anche Gonzales, pediatra e autore catalano, non ha mai allattato.

Ma questo non gli ha negato la possibilità di sostenere le madri vicine e lontane, anche attraverso l'Associazione Catalana per l'Allattamento Materno di cui è fondatore e presidente.

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Elena Skoko definisce "advocacy" l'attività di queste madri (e padri) alla pari, vista come evoluzione del termine attivismo.

Un'attività che si concentra sull'attivismo dei diritti.

Anche in questi giorni di grande mobilitazione in difesa dei diritti delle famiglie di ogni tipo, noi madri abbiamo sempre meno tempo per le manifestazioni.

Possiamo però utilizzare strumenti che ci permettono di far sentire la nostra voce anche a distanza, come ad esempio internet.

Internet ci aiuta a fare informazione e cultura attraverso campagne social, oltre che pressioni dal basso alle istituzioni.

Le madri possono contare sul potere delle esperienze circolari per unirsi contro il patriarcato e la violenza.

Costruendo reti di sostegno tra madri, cerchi di sostegno a livello locale, nazionale e internazionale.

Come ci racconta Antonella Zotti, psicoterapeuta, il primo cerchio di cui facciamo parte è il ventre di nostra madre.

E i cerchi possono aiutare le donne a trovare un supporto adeguato.

La Zotti ci porta le riflessioni di una madre: "Se avessi avuto un sostegno adeguato avrei fatto il parto naturale"

Ci racconta di come per questa donna il confronto con una madre di Rinascere al Naturale sia stato risolutivo, di un rapporto conflittuale con il figlio di 21 anni.

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L'esperienza di parto può lasciare tracce silenziose ma importanti in noi. E con altre donne, alla pari, è più facile raccontarsi.

L'ascolto silenzioso, la consolazione, la condivisione, il racconto delle storie di altre donne, il sollievo sono valori che connotano le esperienze circolari, in cui si confonde chi aiuta e chi viene aiutato, chi prende e chi dà.

La maternità è un fatto sociale, non privato.

Il legame tra neonato e madre è da proteggere, da sostenere, da promuovere.

Siamo tutti chiamati a tutelare la nascita di ogni bambino e, con lui, di ogni madre.

Ognuno di noi può fare qualcosa.

Gabriella Falcicchio ci parla dell'attivismo come di una nuova via percorribile, lontana dalle risposte classiche di rivalsa o vittimismo.

È questa la via possibile di cui ci parla Denise Montinaro, presidente della nostra associazione.

Le madri e i padri di Rinascere al Naturale, in questi anni si sono attivati per promuovere una cultura della nascita con al centro la donna, un'informazione libera e corretta, il sostegno alla pari alle donne in gravidanza, attraverso incontri e sui social.

Partendo dall'eccesso di cesarei in Puglia, ricercando il dialogo con le istituzioni pubbliche e sanitarie.

Denise Montinaro ci parla del progetto Madri di Comunità, per la costruzione di una comunità accogliente per le famiglie, basata sul rispetto reciproco, sulla valorizzazione delle competenze di ognuno, sulla collaborazione, sul sostegno.

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Un progetto che parte proprio dall'allattamento, altra emergenza nel nostro territorio e soprattutto nel sud della Puglia, dove non esiste ancora una rete capillare di supporto alle neo madri.

Le donne di Rinascere al Naturale aprono le porte a chiunque voglia mettersi al fianco delle madri, consapevole che ognuno può fare la sua parte, seppur piccola, per promuovere buone pratiche di comunità.

Perché il futuro è oggi.

È scritto negli occhi dei nostri bambini.

Grazie a Centro Antiviolenza LiberaMente e Lo Scrigno - Associazione di Promozione Sociale
per l'invito a partecipare e per l'ospitalità


Esterina Marino



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