venerdì 5 ottobre 2018

Quando si interrompe l'attesa: parlarne per proteggere.

 
foto dal web
 Non c'è piede tanto piccolo da non lasciare
un'impronta su questa terra...

A volte è il non sentire il suono ritmico del suo cuore, insieme al volto preoccupato del medico, a trasformare la gioia dell'attesa in preoccupazione, poi in incredulità, in rifiuto e in dolore straziante. Altre volte sono i valori anomali delle analisi, altre ancora è la percezione di noi madri, il sentire i suoi movimenti poco frequenti, troppo poco frequenti... Qualche volta invece il sogno si infrange nel momento in cui dovrebbe iniziare a trasformarsi in realtà, durante o dopo la nascita.
Sono tanti i volti del lutto perinatale, tante le storie. E purtroppo tanti anche i numeri. Si calcola che una donna ogni 6 perda il suo bambino durante la gravidanza o dopo il parto.


Eppure quello del lutto perinatale è un fenomeno di cui si parla poco.



E' un lutto difficile, e spesso non si sa come interagire con i genitori che ne vengono colpiti. La nostra società ha paura della morte e gestisce con difficoltà le emozioni legate ad essa. Quando poi la perdita riguarda un bambino, nato o atteso, ci si sente ancor meno preparati ad entrare in relazione con chi soffre. Spesso, per paura di dire o fare la cosa sbagliata, si evita di parlare, di chiedere, si rimane a distanza. E i genitori si trovano così ad essere avvolti in un silenzio assordante, isolati, senza sostegno.

Peggio ancora, mossi dalla volontà di aiutare la madre o la coppia a superare il dolore "prima possibile" (nell'illusione fallace che il "prima possibile" sia meglio), alcuni parenti o amici pronunciano frasi come "puoi sempre riprovarci" oppure "su, basta soffrire! pensa agli altri figli/pensa al futuro", o ancora "devi dimenticare", "come a te è successo a tante altre, può capitare", sminuendo e ferendo, anche senza volerlo, chi è colpito dal lutto.



Persino gli operatori sanitari che lavorano nell'ambito della nascita, a volte, non sono preparati a interagire con chi sta affrontando questo dolore
Capita persino che alcune madri abbiano dovuto subire una grave mancanza di empatia e rispetto da parte degli operatori che le hanno assistite durante la perdita. 
Madri lasciate soffrire, magari in attesa di partorire il proprio figlio morto, nella stessa stanza con donne prossime al parto; madri a cui il medico, forse in un maldestro tentativo di consolazione, dice di non piangere, poichè quello che aveva perso aveva si e no le dimensioni di un'arancia. 
E invece di informazioni appropriate e sostegno competente vengono distribuite frasi fatte e pregiudizi. 

Dei cartelli arrivati durante la campagna #bastatacere, che chiedeva alle donne di inviare testimonianze su episodi di violenza ostetrica subìta, tra quelli che hanno lasciato maggior sconcerto ci sono, senza ombra di dubbio, quelli che raccontano l'approccio inappropriato al lutto perinatale da parte di alcuni operatori della nascita, segno del lavoro che ancora c'è da fare per riuscire ad accompagnare i genitori nel doloroso percorso del lutto.





Quando poi la perdita è un aborto avuto nelle prime settimane, ancora maggiore è il silenzio

Nonostante il numero di genitori costretti a confrontarsi con questo evento sia particolarmente alto, ancora minore è l'attenzione rivolta a questo dolore. Persino la definizione clinica di lutto perinatale tace sul fenomeno, in quanto comprende le perdite avvenute a partire dalla ventisettesima settimana di gravidanza. 

Solo nelle ultime decine di anni gli studi sulle componenti psicologica e psicosociale del lutto perinatale sta restituendo "dignità" all'aborto precoce. Ma ancora la tendenza diffusa è quella di minimizzare. 

Molte donne non comunicano neppure di essere incinte nel primo trimestre proprio perchè è molto diffusa l'idea che ancora "il figlio non è sicuro", che non è detto che la gravidanza continuerà, quindi meglio tenersi il segreto per sè o tra pochi intimi e, se qualcosa va male, si può benissimo far finta che non ci sia stata, si può evitare di parlarne, che qualcuno faccia domande, si può evitare di dare spiegazioni. 

Ma, pur nell'individualità di ciascuno di noi, per la donna -e a volte anche per l'uomo- non è possibile far finta che quel bambino non ci sia mai stato, che non sia nato nel suo cuore; non è possibile mettere via in fretta e furia i sogni, i progetti, l'idea del volto che il bambino avrebbe avuto e cancellare tutto con un colpo di spugna. Una donna che si è sentita madre sino ad un attimo prima, dovrebbe sentirsi non più legittimata a definirsi madre? 

In realtà oggi si sa che il percorso di genitorialità inizia sin dai primi momenti. Molti studi sulla vita prenatale stanno dimostrando che mamma e bambino comunicano tra loro, in uno scambio di stimoli ed emozioni. Sia a livello biologico che psicologico la donna cambia sin dai primi momenti: il suo corpo ha in sè una nuova vita, si modifica per accoglierla e nutrirla al meglio, lei prova delle emozioni legate all'evento, immagina, progetta, parla al suo bambino. E' madre a tutti gli effetti.

Inoltre alcuni studi dimostrano che programmare una gravidanza, dunque già nella fase preconcezionale, attiva alcune aree del cervello: si può affermare che il percorso di genitorialità inizi già con il pensare di avere un bambino. Spesso la gravidanza è stata cercata con consapevolezza, anche a lungo, talvolta persino attraverso percorsi impegnativi. La presenza del bambino viene accertata piuttosto precocemente: è parte della coppia sin dai primi momenti.

Pertanto anche se avviene nelle prime settimane di gravidanza, è un lutto che va riconosciuto. Il dolore di una perdita dovrebbe essere accolto e sostenuto. I genitori devono poterlo esprimere liberamente e dovrebbero poter avere lo spazio sociale in cui il loro lutto venga accolto, legittimato, supportato.


Per questo è importante parlarne.
Per questo il 15 ottobre, in tutto il mondo, si celebra il Babyloss Awareness Day, la giornata mondiale della consapevolezza sul lutto in gravidanza e dopo la nascita, un'iniziativa introdotta dal 2007 anche in Italia da Ciao Lapo Onlus, che promuove eventi in tutte le città grazie alla collaborazione con volontari ed associazioni sensibili alla tematica. 

A sua volta Rinascere al Naturale Onlus, che si occupa di maternità e genitorialità a 360 gradi, offrendo sostegno e informazione nei molteplici ambiti, ha scelto di attivarsi concretamente anche per accogliere e sostenere questo aspetto della maternità. Dal 2017 l'associazione, aderendo all'iniziativa nazionale, organizza il Babyloss a Lecce, collaborando con i professionisti del territorio. 

Quest'anno l'iniziativa è patrocinata dall'Ordine delle Ostetriche di Lecce, a testimoniare l'importanza del ruolo dell'ostetrica nella gestione del lutto perinatale. E' attesa la partecipazione di varie ostetriche operanti nel territorio. 
Per il secondo anno consecutivo presenza preziosa sarà quella della psicologa e psicoterapeuta Elisabetta Bertoglio, professionista sensibile al tema, che modererà il dibattito.



L'iniziativa del Babyloss ha lo scopo di creare uno spazio protetto in cui le famiglie colpite dal lutto possano incontrarsi, raccontarsi, sentirsi non più sole e trovare sostegno per rielaborare il proprio dolore. Oppure semplicemente per dedicare un pensiero d'amore a quel bambino che, anche quando il dolore fosse superato, non viene dimenticato.

Ma il Babyloss non è solo per i genitori che hanno subìto la perdita. L'iniziativa si rivolge anche ai familiari e agli amici, che vorrebbero essere d'aiuto ma spesso non sanno come fare. Si rivolge a tutti coloro che, per la propria professione, entrano o possono entrare in relazione con genitori colpiti da lutto perinatale. E si rivolge ai rappresentanti delle Istituzioni, chiamati in prima persona a farsi sostenitori dell'iniziativa stessa.

Il Babyloss si rivolge alla cittadinanza tutta, perchè parlarne è il primo passo per comprendere, accogliere e sostenere.

Denise Montinaro

Per approfondire:
Piccoli Principi di Claudia Ravaldi, Officina Grafica Edizioni.
Quando l'attesa si interrompe di Giorgia Cozza, Il Leone Verde.

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