Il 29 ottobre presso la Triennale di Milano si è tenuto un incontro di donne, e non solo donne, che probabilmente rimarrà alla storia: l'Associazione Nazionale Nascere in casa ha promosso ed organizzato, per la prima volta, un convegno dedicato interamente al parto extraospedaliero (a domicilio o in casa maternità) dal titolo esplicativo "Nascere in casa si può... noi ci siamo". Che i tempi fossero maturi lo ha dimostrato la grande partecipazione di ostetriche, professionisti, madri insieme ai loro compagni ed ai loro piccoli.
Rappresentazione in chiave artistica della relazione donna-ostetrica |
Un appuntamento a cui noi di Rinascere al Naturale non potevamo mancare tanto più che, dalla nostra Puglia, l'ostetrica Rosaria Santoro, in rappresentanza delle sue colleghe del sud Italia, ha portato al convegno un tema a noi particolarmente caro, un tema delicato tanto da essere definito"ostico": la richiesta di assistenza da parte delle mamme precesarizzate, ovvero il VBAC (parto vaginale dopo cesareo) in casa, conosciuto anche come HBAC (Home Birth After Cesarean).
Ad aprire la relazione di Rosaria Santoro, a cui l'associazione ha prestato di buon grado la sua collaborazione, è stata la mia personale storia di ricerca di un VBAC.
Quando ho riferito la prima risposta fantascientifica che uno dei professionisti consultati mi ha fornito e che ritraeva il VBAC come un "esperimento sanitario" d'altri tempi, la platea si è lasciata andare ad una fragorosa risata. Ma poi, nonostante il susseguirsi di risposte non meno fantasiose (la cicatrice del cesareo non ancora rimarginata dopo quasi due anni, il parto dopo cesareo come pratica new age, il mio desiderio paragonato al voler toccare un ago infetto e tanto altro) nessuno ha più riso e il silenzio è calato in sala. La storia raccontata era la mia, ma sarebbe potuta essere quella di decine di altre donne che abbiamo conosciuto in questi anni, che si sono raccontate, che hanno condiviso con noi il loro dolore per non aver trovato sostegno in gravidanza tra gli operatori sanitari consultati, o di essere state illuse per poi essere abbandonate ed ostacolate ad un passo dal parto, nel momento di massima vulnerabilità, quando non è più possibile pensare ad un piano B e l'unica opzione è arrendersi ad un inesorabile cesareo ripetuto.
Il nostro intervento al Convegno. |
La mia ricerca ha avuto un lieto fine: non solo un parto vaginale, ma una nascita rispettata (di mio figlio) ed una rinascita (mia), tra le mie mura domestiche, grazie soprattutto all'incontro con l'ostetrica Rosaria. Eppure nelle Linee Guida dell'Associazione Nascere in casa, in accordo con quanto raccomandato dalle Linee Guida internazionali, il pregresso taglio cesareo compare tra le controindicazioni all'assistenza domiciliare.
E
allora come mai, ci siamo chieste con la dottoressa Santoro, delle 97
donne da lei assistite a domicilio dal 2010 sino alla data del convegno
ben il 38% è rappresentato da donne precesarizzate?
Intervento di Rosaria Santoro |
Sono stati dunque contattati i 6 ospedali pugliesi che, alla data dell'indagine, dichiaravano di consentire i VBAC. I dati ricavati sono fortemente frammentari, sufficienti però per fare un'analisi di tipo puramente descrittivo, dalla quale emerge, ad esempio, per alcune strutture, lo stridente contrasto rispetto alla percentuale di VBAC riusciti sul totale dei parti: circa l'1%, mentre nei parti assistiti da Rosaria Santoro la percentuale è del 34%*. Sarebbe interessante conoscere la percentuale di VBAC riusciti rispetto alle richieste pervenute da parte di donne precesarizzate, ma non ci è dato saperlo. Sappiamo invece che ben l'89%* dei travagli in donna precesarizzata assistiti da Rosaria si è concluso con un VBAC. E ovviamente non c'è stato alcun caso di rottura d'utero!
La seconda parte dell'indagine presentata dalla dottoressa Santoro riportava i dati emersi da un questionario che ho rivolto direttamente alle donne pugliesi che in questi anni hanno cercato di avere un parto dopo cesareo, sia in casa che in ospedale. Il primo dato che emerge è la differenza della percentuale di esiti positivi: il 94% tra le donne che hanno scelto un'assistenza domiciliare al travaglio e/o parto, il 45% tra le donne che hanno scelto l'assistenza ospedaliera. Ma quel che colpisce maggiormente è la carrellata di risposte che queste madri si son sentite dare presso le strutture ospedaliere in cui hanno chiesto assistenza per un parto vaginale, dalle più classiche che fanno appello alla mancanza di una sala operatoria vicina, allo spauracchio della rottura d'utero e al ricatto della misurazione del Segmento Uterino Inferiore, a quelle più evasive ("vedremo", "vieni qui e ti controlleremo a tempo debito", "si potrebbe tentare"), alle più categoriche ("assolutamente no", "non siamo favorevoli", "non facciamo queste cose noi", "tutti contrari!"), a quelle meno scientificamente fondate, che ponevano paletti aleatori rispetto alla durata della gravidanza ("entro la 39a settimana") o alla distanza dal precedente cesareo, per non parlare delle più odiose, ma gettonatissime, con cui l'idea di "lasciar vedovo il marito ed orfano il figlio" assume i connotati di un ricatto morale.
La maggior parte delle donne intervistate si dice soddisfatta dell'assistenza ricevuta ma molte, tra le donne che hanno scelto un'assistenza ospedaliera, ritengono che la loro esperienza sarebbe stata migliore se avessero potuto scegliere tra diversi luoghi del parto.
L'intervento di Rosaria Santoro al convegno di Milano si è concluso dunque tentando di dare una risposta all'interrogativo iniziale: quali sono i motivi che portano le donne a scegliere il parto in casa dopo precedente cesareo? E' indubbio che una delle ragioni fondamentali sia la scarsa risposta da parte delle strutture ospedaliere, unitamente alla consapevolezza che -noi donne che scegliamo il parto in casa dopo cesareo- maturiamo rispetto ai rischi e ai benefici, a seguito di un'accurata informazione e all'ascolto dei nostri personali ed individuali bisogni.
Tavola rotonda di genitori, condotta da Elisabetta Malvagna |
Oggi l'indagine è partita dalla Puglia, ma sappiamo che la scarsa o inadeguata promozione del parto dopo cesareo è una questione che, in vario modo, non risparmia alcuna regione: sono pochi gli ospedali che sostengono e promuovono realmente il parto dopo cesareo, e soprattutto che lo assistono non come un parto ad alto rischio, ma semplicemente come... un parto. Basti pensare all'odiosa espressione con cui viene definito il parto di una donna precesarizzata: "travaglio di prova" a voler tendenziosamente sottolineare che si tratta di un tentativo, senza troppe speranze di riuscita. Lo studio intrapreso in Puglia vuole invece essere un incoraggiamento ad allargare le indagini anche altrove, per verificare quanto un'assistenza veramente rispettosa possa promuovere esiti migliori.
Una diapositiva della relazione di Anita Regalia |
In questo primo convegno sul parto extra-ospedaliero sono stati gettati alcuni semi che, noi di RaN siamo certi, troveranno terreno fertile per germogliare. Alle organizzatrici che hanno avuto la sensibilità e la lungimiranza di affrontare temi delicati e destinati ad aprirsi a nuovi sviluppi va il nostro ringraziamento e l'augurio di ritrovarci, ancor più motivati ed ottimisti, alla prossima edizione.
Denise M.
* In data odierna la percentuale di VBAC riusciti è aumentata ulteriormente: sul totale di parti assistiti da R. Santoro è del 39%, mentre sul numero di VBAC assistiti dalla stessa è del 90%.
Qui è possibile visualizzare le diapositive dell'intervento di R. Santoro.
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