Storia di una nascita rispettata - HBAC (di V.)

“Lasciatelo fare…lasciategli il tempo…
lasciate alla nascita la sua lentezza e la sua gravità”
F. Leboyer 


"Non si può aiutare un processo involontario come il parto, si può solo non disturbarlo"

M. Odent

La storia della nascita rispettata di G. A. comincia da prima ancora del suo concepimento. Inizia dalla nascita di S. H. appena 17 mesi prima.
S. H. è nata in ospedale con un taglio cesareo d’urgenza che ho subìto, e mai veramente accettato, a fine travaglio, a dilatazione ormai completa, dopo molte ore di immobilità da sdraiata con monitoraggio fetale costantemente attaccato, flebo di ossitocina sintetica per aumentare le contrazioni, continue esplorazioni interne, ecografie, spinte guidate sul lettino da parto in posizione litotomica, fino all’ingresso in sala operatoria per mancata progressione della testa nel canale del parto. 
Da quel luogo freddo ed asettico sono uscita ferita, impotente, terrorizzata, sovrastata da un dolore fisico innaturale e, quel che è peggio, totalmente incapace di provare qualsiasi emozione verso la mia bambina, intravista solo per un secondo senza che il mio corpo addormentato la riconoscesse.
L’unico ricordo, appannato dagli antidolorifici, che ho di me stessa è quello di una malata immobilizzata nel letto dal dolore, imbottita di farmaci e piena di tubi, flebo, medicazioni, ecc., impossibilitata ad accudire un neonato perché a sua volta bisognosa di assistenza.
Anche molto tempo dopo l’intervento (non riesco e non riuscirò mai a chiamarlo “parto”), questi sentimenti di invalidità, estraneità e frustrazione non mi hanno mai abbandonato, segnando tristemente i primi mesi di vita della mia bambina e pregiudicando l’avvio dell’allattamento.
Per cercare di capire realmente quello che era accaduto ho iniziato a raccogliere informazioni sul parto cesareo e sulle indicazioni che lo rendono necessario e, pur non avendo intenzione di programmare a breve una seconda gravidanza, a ricercare spunti per un percorso nascita completamente diverso da quello che mi aveva portato dritta dritta in sala operatoria.
La sensazione di aver perso una parte importante della maternità e dei primi istanti di vita di mia figlia è stata così forte da impedirmi di accettare aprioristicamente l’idea di un ulteriore cesareo programmato, anche se questo è il destino più comune, apparentemente ineluttabile, di una precesarizzata. 
Ho letto dei libri a carattere divulgativo sul parto cesareo e sul VBAC scritti da medici e da ostetriche (in particolare “Il parto cesareo” di I. Olza ed E. Lebrero Martinez), ho cercato informazioni su Internet e sono approdata al forum parto naturale, dove ho potuto condividere la mia esperienza di parto traumatico e conoscere le storie gioiose di molte donne capaci di partorire spontaneamente dopo uno o più cesarei.
Tutte le informazioni raccolte hanno radicato in me due convinzioni: 1) che per evitare un cesareo inutile è opportuno rispettare ed assecondare la fisiologia del parto; 2) che il parto vaginale dopo cesareo al termine di una gravidanza fisiologica è un’opzione praticabile e sicura.
Qualche tempo dopo ho saputo che il destino stava per regalarmi un’altra bimba, un dono inatteso e meraviglioso….e così, sulla base delle informazioni già raccolte, è iniziata questa nuova avventura.
Non è stato facile trovare un ginecologo davvero disposto a seguirmi nel mio cammino verso un VBAC, anche perché nel mio caso era trascorso pochissimo tempo dal precedente TC (per quella che è la mia esperienza, da queste parti molti ginecologi sono in ogni caso contrari al VBAC, altri richiedono comunque un intervallo di almeno 2-3 anni prima di ammettere una precesarizzata al travaglio di prova).
Alla fine, la mia scelta è caduta su un ospedale regionale che ha un reparto di ostetricia moderno e confortevole ed è attrezzato per il parto attivo, il cui primario, dr. P. , mi ha seguito con professionalità, umanità e dolcezza, dedicandomi moltissimo tempo, dimostrando rare capacità di ascolto ed empatia, illustrandomi con obiettività rischi e benefici delle diverse opzioni senza mai spaventarmi e rassicurandomi in merito alla fattibilità di un travaglio di prova. 
Per non lasciare nulla al caso, ho visitato il reparto di ostetricia da cima a fondo, ho parlato a lungo con le ostetriche ed ho informato chiaramente il medico circa le mie scelte in merito al travaglio ed al parto, mostrandomi ben informata, consapevole e determinata. 
In ogni caso, avevo già deciso che per questa gravidanza avrei cercato anche un’ostetrica indipendente, una figura di riferimento in cui riporre fiducia, disponibile eventualmente ad accompagnarmi in ospedale in modo da non trovarmi più da sola al cospetto di medici di turno eventualmente mai visti prima.
Ormai da qualche tempo, frequentando il forum di parto naturale, sentivo parlare di un’ostetrica della mia Regione, R. , segnalata come l’unica nella mia zona ad aver seguito parti a domicilio anche di donne precesarizzate. Così la chiamo e le chiedo un incontro… capisco subito di essere nel posto giusto e con la persona giusta…ed in breve i miei progetti cambiano.
Maturo la personale convinzione che se voglio avere buone possibilità di partorire spontaneamente devo concedermi i miei tempi e prendermi i miei spazi, mentre anche nel migliore ospedale del mondo mi sentirei, e probabilmente sarei, sempre una “sorvegliata speciale” da portare di corsa in sala operatoria al minimo intoppo.
Così la mia prima opzione diventa il parto in casa, con la sola assistenza dell’ostetrica, ovviamente a patto che le circostanze lo consentano.
Questa decisione è il frutto della reale consapevolezza che ho acquisito circa i processi fisiologici del parto e la possibile interferenza su di essi dei protocolli ospedalieri, oltre che di un percorso di rielaborazione della mia esperienza precedente, riconciliazione con il mio corpo e preparazione ad un parto davvero naturale. 
Durante il corso di accompagnamento alla nascita ho riacquistato fiducia nella mia capacità di partorire da sola e in modo fisiologico, senza alcun intervento esterno e senza epidurale o altri farmaci per alleviare il dolore.
Credo fermamente che la mia scelta, consapevole ed informata, non comporti rischi aggiuntivi per me o per la mia bambina: accanto a me ci sarà un’ostetrica esperta e preparata, in grado di riconoscere e fronteggiare eventuali complicanze; se sorgerà la necessità di andare in ospedale potrà accompagnarmi in quello che ho scelto ed in caso di vera urgenza a 10 minuti da casa mia c’è un’altra struttura ospedaliera pubblica ben attrezzata.
Per evitare ogni ansia o preoccupazione indotta, il mio progetto, totalmente condiviso da mio marito, rimane un segreto per tutti, senza eccezioni, ginecologo e familiari inclusi. 
Vivo la gravidanza con grande gioia e serenità, senza arrovellarmi troppo su come sarà il parto: stavolta so di aver fatto tutto quanto in mio potere per accogliere la bambina al meglio e sono molto ottimista e fiduciosa, ma non voglio crearmi troppe aspettative.
In un angolino della mia mente c’è posto anche per l’eventualità di un ricovero in ospedale e persino di un secondo cesareo: perciò preparo un piano del parto, che affido con fiducia al dr. P., con tutte le mie richieste in merito alle pratiche ospedaliere ed alla degenza, in modo da vivere comunque un’esperienza per quanto possibile positiva e serena.
All’inizio della 40esima settimana vado dal ginecologo per l’ultima visita con ecografia di routine: il medico mi assicura che tutto procede bene, c’è abbastanza liquido, il peso della bimba non è eccessivo, ma la testa è ancora molto alta…proprio quello che tutti i medici mi ripetevano di S. H.. 
Forse tutto è destinato a ripetersi? Inizio a chiedermi: “Scenderà stavolta la testa? Forse c’è qualcosa che non va in me? Perché faccio solo figli con le teste che non scendono?”
In questo momento cruciale, in cui per un istante ho messo in dubbio la mia capacità di partorire, il dr. P. e la mia ostetrica mi rassicurano dicendomi che l’importante è che la testa scenda al momento giusto.
Intanto però comprendo che sono arrivata al bivio: da un lato monitoraggi, forse altre ecografie, la prospettiva del prericovero, esami e controlli di routine, con ogni probabilità anche espliciti avvertimenti su paventati rischi di rottura dell’utero da parte di qualche solerte e benintenzionato operatore sanitario di turno… dall’altro silenzio, quiete, attesa e ascolto del mio corpo e della mia bambina. 
Resto sospesa un attimo che sembra un secolo, poi scelgo la seconda via, sostenuta in tutto e per tutto da mio marito G., e mi assumo interamente la responsabilità di accompagnare la mia bambina verso la vita, come per me è giusto che sia.
Ormai è deciso. Quella improvvisa sensazione di ansia che mi impedisce di respirare si dissolve.
Ora tutto può accadere.
Cerco di isolarmi da tutti i pensieri e le influenze negative: assecondo i segnali di stanchezza che mi trasmette il mio corpo e cerco di riposare il più possibile per affrontare al meglio il travaglio ed il parto. Nessun monitoraggio, nessun controllo particolare, nessun'altra visita o ecografia. 
Non mi sento un’incosciente, ho letto le linee guida sulla gravidanza fisiologica ed ho fatto tutti gli esami raccomandati per la mia epoca gestazionale, evitando solo di farne in più.
Sento che tutto quello di cui abbiamo bisogno è prepararci serenamente alla nascita.
Sono a 39 settimane e 4 giorni. Da qualche tempo ormai ho quelle contrazioni preparatorie che ricordo così bene dalla nascita di S.H., ma una notte qualcosa cambia: sono più forti, più ritmiche, più lunghe. Io sono sicura che ci siamo. 
Finchè posso, resto nel lettone a dormicchiare per fare scorta di tutte le energie. 
Verso le 6 non riesco più a rimanere a letto, i dolori mi tengono sveglia e forse un po' anche l'emozione...mi preparo un latte caldo e telefono a R. che mi dice che verrà a vedermi, ma di restare tranquilla perché le contrazioni potrebbero anche fermarsi e poi riprendere a distanza di ore o giorni.
Razionalmente so che potrebbe essere un falso allarme, ma nel profondo di me stessa sento che la mia bambina è pronta e mi sta chiedendo di nascere. 
Aspettando R., mentre tutti dormono, riassaporo in solitudine qualche brano del libro "Il parto cesareo": non mi stanco mai di leggere e rileggere l'aneddoto della donna che affronta un lungo viaggio per incontrare Odent e chiedergli come fare per avere un VBAC e della risposta che lui le dà: "Chiuditi nel bagno di casa tua e non permettere a nessuno di entrare!" ...questa storiella mi fa ridere e mi dà molta forza.
Verso le 8 arrivano R. e S., la sua assistente e doula: due donne sorridenti, nei loro freschi abiti estivi, senza camici, mascherine, guanti… R. ha tutto ciò che le serve nella borsa, ma mi propone di aspettare un po' a visitarmi perchè siamo ancora all'inizio ed io sono subito d'accordo. Non ho fretta, voglio godermi quelli che probabilmente sono gli ultimi momenti con la mia pancia.
Intanto ci raggiunge mio marito, mia figlia si sveglia e tutti insieme facciamo colazione. 
Con R. e S. chiacchieriamo ed intanto quasi per gioco contiamo le contrazioni e l'intervallo tra una e l'altra: circa un quarto d’ora.
In tarda mattinata faccio una doccia calda e rilassante e resto per un po’ da sola in camera da letto. Parlo con la mia bambina, le chiedo di aiutarmi a spingerla verso la vita, le dico che sono sicura che questa volta non ci perderemo. 
Le contrazioni non si fermano, lentamente salgono di intensità e frequenza. Sono circa le 12,00. R. per la prima volta mi visita e mi conferma che sono a 4 cm: il travaglio sta iniziando. 
Propongo di pranzare perchè voglio fare scorta di energie per il parto ora che le contrazioni non mi impediscono ancora di fare altro: mangiamo tutti insieme, focaccia calda, mortadella e mozzarelle.
Poi le contrazioni si fanno più intense e mio marito con una scusa più o meno plausibile porta S.H. dai nonni, ignari di tutto.
Il periodo dilatante è lieve e tranquillo: sono quasi sempre per terra, accovacciata o carponi, con gli occhi chiusi e la testa appoggiata ai cuscini del mio letto; respiro, vocalizzo, assecondo le contrazioni e mi rilasso negli intervalli.
Il dolore non è poi così forte ed anzi, tra una contrazione e l’altra, raggiungo uno stato di beata semi-incoscienza; sento un peso doloroso sull'osso sacro, ma S. mi fa dei meravigliosi massaggi con olio profumato proprio nel punto che mi fa male e mi dà grande sollievo, mentre mio marito mi asciuga il sudore con un asciugamano e mi tiene la mano.
Con una contrazione si rompono le acque e subito dopo perdo il tappo mucoso.
Verso le 15,00 sono già a dilatazione completa: non ci posso credere! Penso che sto per abbracciare la mia creatura e invece qui inizia il difficile…
R. mi dice che se sento la necessità posso cominciare a spingere, ma pur avendo iniziato ad avvertire i premiti prima ancora di completare la dilatazione, le mie spinte si rivelano subito poco efficaci.
Arriva la prima sensazione sgradevole: non riesco a controllare le gambe, che si contraggono mio malgrado, e sono rigide come tronchi.
Mi assale la paura irrazionale che anche stavolta la testa non riesca a scendere e la bambina rimanga incastrata e non possa uscire. 
Chiedo a R. perché ci vuole tanto tempo. 
Ma R. dice solo: “Tu e la bambina non siete ancora pronte” e mi consiglia di non spingere perchè mi stanco inutilmente, mentre è bene che preservi le forze; entro in vasca e l'acqua calda mi rilassa e mi aiuta a rigenerarmi.
Ora non riesco più a parlare, nè a pensare, non ho nemmeno consapevolezza delle persone che restano discretamente intorno a me ad aspettare i miei tempi: voglio solo far nascere questa bambina.
Passa un tempo che a me sembra infinito. Inizio ad essere stanca. R. controlla il battito ad ogni contrazione. Per un attimo torna la paura: “ecco, adesso mi dice che c’è sofferenza fetale e finisco di nuovo in sala operatoria con 10 cm di dilatazione” e subito dopo: “Non riuscirò mai a vestirmi e ad arrivare alla macchina per correre in ospedale…” anzi “non voglio andare in ospedale ”.
Comincio a chiedere come sta la piccola perchè non riesco a sentire il suo cuore distintamente come all’inizio, ma R. mi spiega che è normale e dipende dal fatto che ora la bambina è molto in basso: per farmelo capire davvero, mi invita a guardare dove ha appoggiato il suo sonic-aid.
Finalmente mi rassereno perché so che la bambina sta bene, che non dobbiamo andare in ospedale e soprattutto che la testa è scesa! Sento di aver superato il punto in cui la mia precedente esperienza di parto è stata spezzata. Dentro di me qualcosa si scioglie, sento che tutto va come deve andare. 
Mi tornano in mente le parole di R., quando le avevo telefonato agitatissima dopo l’ultima ecografia: “Non pensare a quello che è stato. Questa è un’altra gravidanza, è un’altra bambina, tu sei una persona diversa”.
E’ proprio così: forse ci vorrà ancora del tempo, ma questa volta non cedo: posso, possiamo farcela.
Non riesco a stare ferma: cammino in giro per la stanza, quasi senza rendermene conto muovo il bacino in senso circolare per fare spazio alla testa della bambina, quindi torno accovacciata.
Fa molto caldo ed ho sete, ma faccio fatica a bere: S. mi aiuta a cambiarmi la camicia e mi avvicina alle labbra dei cubetti di ghiaccio da succhiare.
In questa fase R. e S. , consapevoli della delicatezza del momento, sono attentissime alle mie necessità: malgrado io non riesca molto a parlare, si sforzano di capire e soddisfare le mie piccole esigenze prima ancora che riesca ad esprimerle.
La voglia di spingere è sempre più forte, ma ancora non ci siamo. Cambio ancora posizione. 
E’ il momento decisivo. Ora sono a terra seduta su un materasso. S. mi tiene la testa e le spalle e mi accompagna dolcemente durante le spinte e io porto le ginocchia al petto con le mani, così finalmente sento le gambe rilassarsi e diventare più morbide.
A questo punto R. mi spiega che tenterà una piccola manovra per sbloccare la testa che sembra un po' incastrata...non mi accorgo di nulla in particolare, ma dopo pochi secondi la sento dire che la testa è libera e quasi istantaneamente avverto la differenza...
ora il bisogno di spingere è incontrollabile, non decido di farlo, lo faccio e basta.
R. e S. mi dicono che si vede la testa e che se voglio posso toccarla, ma io non voglio, ho troppa paura che non sia vero o che possa tornare indietro… chiedo a mio marito di guardare. 
Lo sento emozionato e commosso: “La vedo, la vedo, ha tanti capelli, sono neriiiiiii!!!!!!!!!!!” Allora è vero…sta per succedere veramente…
Un impacco caldo mi dà una sensazione di improvviso e totale benessere e mi rilassa i muscoli perineali; in 4/5 spinte la testa è fuori, poi sguscia fuori anche il corpo...sento, vedo la pelle umida e tiepida della mia bambina e il cordone ed è una sensazione irripetibile. 
Il periodo espulsivo è durato circa due ore e mezza: sono le 17,40 …e finalmente ecco la mia piccola G. A.! 
R. mi appoggia la bimba sul petto coperta da un asciugamano e la massaggiamo tutti insieme: un batuffolino nero, con la testa ancora un po’ allungata, gli occhi spalancati a fissare i miei, l’espressione un po’ stupita ed aggrottata che ha tuttora… c'è bisogno di aspirarle manualmente parecchi muchi che non riesce ad espellere da sola, ma resta sempre sdraiata sulla mia pancia attaccata al cordone.
Non ho ricordi molto precisi di quello che accade subito dopo: sono troppo impegnata a guardare negli occhi la mia bambina, abbracciarla ed accarezzarle le manine…mi accorgo appena di un paio di contrazioni poco dolorose, guardo in basso e vedo che è uscita anche la placenta.
Non so quanto tempo dopo arriva anche la pediatra; lei e R. tagliano il cordone, che ha ormai smesso di pulsare; laviamo e vestiamo la bambina con una camicina leggera. La pediatra con delicatezza la misura e la pesa: kg 2,940 per 49 cm.
Intanto io riesco a mettermi a letto e R. mi medica rapidamente una piccola lacerazione spontanea da due punti.
Poco dopo G. è di nuovo con me e finalmente, con il nasino libero dai muchi, si attacca al seno. 
Stento ancora a crederci: siamo insieme nel lettone della nostra casa e non ci separeremo più per tutta la notte.
Dopo esserci concessi qualche meraviglioso momento tutto per noi tre, G. chiama i miei genitori, che arrivano dopo pochi minuti con S. H. che indica col ditino la sorellina appena nata. Mio padre è attonito, con una bottiglia di champagne in mano, e ci guarda come se fossimo dei marziani, mia madre dice che aveva capito tutto.
Riesco già a mettermi in piedi, a mangiare del brodo caldo ed una pesca ed a brindare alla nascita di G.A., mentre G. telefona ad amici e parenti per raccontare entusiasta ed orgoglioso che sua figlia è nata a casa.
Quel giorno, così come nei giorni successivi, non ci sono state pillole, flebo, iniezioni; non ho assunto farmaci, nè integratori; mi sono reidratata bevendo acqua e mangiando cibi semplici e nutrienti preparati nella mia cucina e per accelerare la guarigione della lacerazione ho fatto impacchi di ghiaccio, tintura madre di calendula e miele, mentre l’utero è tornato alle dimensioni normali aiutato dall’ossitocina naturale liberata durante l’allattamento. 
Questa volta non mi sento malata, solamente…mamma.
Ora, a distanza di qualche tempo, ripensando a quanto quest’esperienza di parto sia stata per me bella, intensa e gratificante, penso sia importante far sapere a tutte le donne che il parto naturale dopo cesareo è una possibilità reale, a condizione di credere in se stesse e di farsi assistere da persone che ci credano a loro volta, e che più in generale esiste un’alternativa al parto medicalizzato.
Per me, che avevo vissuto in modo così traumatico le pratiche ospedaliere ed il cesareo, questa alternativa, restituendo alla nascita la sua dimensione intima, spontanea e gioiosa, si è certamente rivelata la scelta migliore ed ha facilitato enormemente anche una felice riuscita dell’allattamento.
Per la mia bambina, ha significato essere accolta immediatamente tra le braccia della sua famiglia ed avere nei suoi primi giorni di vita una mamma integra, sana, gratificata e capace di occuparsi con slancio di lei e di tutte le sue necessità.
Ringrazio di cuore le persone che hanno accompagnato questa nascita e l’hanno resa così bella e speciale, in primo luogo mio marito G., che ha avuto il coraggio di condividere le mie scelte e farle sue, mettendo da parte paure e preconcetti. 
Grazie a tutte le donne e mamme del forum parto naturale, per aver ottimamente orientato e incoraggiato le mie scelte. 
Grazie a R. e a tutti i suoi collaboratori per quello che hanno fatto per noi e che fanno ogni giorno per le donne. 
E malgrado abbia poi deciso di non andare in ospedale e sia felicissima della scelta compiuta, un ringraziamento va anche al dr. P., che mi ha fatto vivere serenamente questa gravidanza, ha compreso e supportato il mio desiderio di partorire naturalmente senza considerarlo un inutile capriccio e, credo, avrebbe davvero cercato di aiutarmi a realizzarlo. 
Infine ringrazio G. A., venuta al mondo inaspettatamente, ma non per caso, a regalarmi un'esperienza di maternità riparatrice in ogni senso. 
Forse ora la ferita del cesareo si chiuderà....? chissà....! per ora resta, anche se forse sanguina un po' meno... ma mi ha dato la forza di desiderare, cercare ed ottenere per G. A. una nascita diversa. dolce. umana. naturale. 


V.



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