venerdì 9 dicembre 2016

L'eccesso di cesarei come forma di violenza ostetrica: cosa accade in Puglia (e non solo...)

Premessa

L'invito è arrivato da Elena Skoko, rappresentante di Human Rights in Childbirth, ideatrice della campagna #bastatacere e fondatrice dell'Osservatorio sulla Violenza Ostetrica Italia, che al telefono, scusandosi per i tempi organizzativi strettissimi, mi chiede di partecipare come madre attivista e relazionare sulla situazione regionale di cui sono testimone.
Il contesto sarebbe stato un convegno sulla violenza ostetrica voluto dall'On. Adriano Zaccagnini, firmatario della Proposta di Legge Norme per la tutela dei diritti della partoriente e del neonato e per la promozione del parto fisiologico” depositata l’11 marzo 2016.
 Il luogo che avrebbe ospitato l'evento, il 21 novembre, la Camera dei Deputati. 
Un invito a cui ho risposto con entusiasmo e per il quale ho avuto il piacere di rappresentare Rinascere al Naturale Onlus e il Comitato per la Buona Nascita.
Ma per l'occasione mi è sembrato opportuno non limitarsi a fotografare la situazione pugliese ed allargarsi, piuttosto, a tutto il territorio nazionale che, anche se in modo variegato, è comunque interessato dalla problematica che in Puglia conosciamo bene: l'eccesso di tagli cesarei e le forme di violenza ostetrica a cui sono sottoposte tantissime donne precesarizzate nel corso delle gravidanze successive all'intervento.  Con questa tematica ho partecipato al Convegno "Protezione dei diritti della partoriente e del neonato"*, chiedendo inoltre di accompagnarmi alla Dott.ssa Rosaria Santoro, ostetrica pugliese per conto della quale ho curato nei mesi scorsi un'indagine regionale inerente al tema (vedi qui e qui).



L'eccesso di cesarei come forma di violenza ostetrica: cosa accade in Puglia 

Non è un caso se, parlando di violenza ostetrica in Puglia, si parli di cesarei: con una percentuale che, secondo i dati Istat, nel 2013 si aggirava intorno al 41,7%, la regione si colloca da un po' di anni al terzo posto della classifica nazionale. In questa percentuale sono compresi anche i cesarei ripetuti a seguito di gravidanze successive ad un precedente cesareo.
Ovviamente il cesareo in se' non va stigmatizzato ed è fondamentale attribuire ad esso un'accezione positiva. Mi piace ricordare a questo proposito le parole del Dott. Michel Odent, noto ginecologo, che lo definisce "una meravigliosa operazione di salvataggio".
Tuttavia, quando quasi una gravidanza su due si conclude con un cesareo (è interessante ricordare che pochi anni fa in Puglia il tasso di cesarei ha sfiorato il 50%), è del tutto plausibile ipotizzare che vi sia un abuso, come del resto testimonia la voce di numerose donne che contattano la nostra associazione e che ci raccontano di travagli altamente medicalizzati, per nulla rispettosi dei tempi, delle competenze e delle richieste delle madri.

Ma la cosa ancor più drammatica è che, per queste donne, la violenza rischia facilmente di duplicarsi. 
Dopo aver avuto un cesareo - appropriato oppure subito senza motivazione medica - la donna che intraprenda una nuova gravidanza si porta dietro quasi un marchio, quello di "precesarizzata", che la costringerà ad affrontare un percorso tortuoso e faticoso qualora volesse, com'è suo diritto, partorire per via vaginale.
"Com'è suo diritto", dicevamo, poichè la scelta di un parto vaginale dopo precedente cesareo, in assenza di controindicazioni specifiche, non è una scelta folle o pericolosa ma, come abbiamo avuto più volte modo di ripetere, è contemplata ed addirittura raccomandata già dall'Organizzazione Mondiale della Sanità a partire dal 1985 ed ancora nel 2016 dall'Istituto Superiore della Sanità. In altre parole, se non si presentano situazioni patologiche per le quali è indicato il cesareo, l'esperienza di parto pregressa non dovrebbe costituire un limite ed anzi andrebbe incoraggiata la scelta di un VBAC, acronimo inglese ormai ampiamente impiegato per indicare il parto vaginale di una donna precesarizzata. E già dovrebbe far riflettere l'abitudine di usare un termine specifico, come se non fosse, semplicemente, un parto.
La realtà è che spesso la donna che desidera
un parto dopo cesareo incontra un grave ostracismo che, contraddicendo le più recenti ricerche scientifiche e le autorevoli raccomandazioni dell'OMS e dell'ISS, la priva del diritto ad avere un parto vaginale e, ancor più, un parto rispettato. Anche se i rischi connessi ad un cesareo ripetuto, in realtà, sono più alti, le donne vengono terrorizzate con l'idea infondata e falsa di un alto rischio di rottura d'utero, ed addirittura di morte. Pertanto si continua a sostenere, impropriamente, che "cesareo chiama cesareo". Ed anche qualora alla donna, informata e determinata, venga "consentito" di travagliare, il tipo di assistenza riservatole ci suggerisce la metafora della bomba pronta ad esplodere. In questi casi ad una ossitocinica esperienza di parto troppo spesso si sostituiscono giochi di forza, contrasti, inganni e violenza. 
E' quello che ci racconta una delle mamme che abbiamo conosciuto in questi anni. La sua esperienza, di cui riporto un estratto, non vuole ovviamente essere esemplificativa del vissuto di ogni madre che, in Puglia o altrove, desideri un VBAC, ma molte altre storie che abbiamo accolto durante il nostro operato presentano purtroppo numerosi elementi in comune con questa insensata e incredibile vicenda.
«Ero a 10 settimane e nella testa mi frullavano domande del tipo, perché dovevo fare un tc solo perché ne avevo già fatto uno!? […] possibile che il mio precedente PN non veniva considerato!? Cominciai a perdere il sonno e a ricercare sul web la possibilità di un parto naturale dopo il cesareo...ed ecco che scopro l'acronimo VBAC!!! Wow! Non ero allora pazza a pensare ad un PN! Tornai di volata al consultorio dichiarando con gioia il mio desiderio e ...per assurdo mi guardarono come una pazza scappata dal manicomio! Mi dissero che era molto rischioso tanto da rimanerci secca insieme al mio piccolo/a. […] Cambiai ginecologo...pagai il primario del reparto […] lui mi sosteneva nella mia scelta, meglio di cosi non poteva andare! Inoltre la piastrinopenia per il primario giocava a mio favore: un intervento sarebbe stato molto più rischioso […] ! Fino a che all'ottavo mese […] il primario comincia a elencarmi 10mila pseudo rischi del VBAC ripetendomi che mi stavo fissando troppo! […] Aveva quasi convinto mio marito che ero un’incosciente nel mettere a rischio la mia vita e quella della mia bimba […]. Decido di mandarlo a quel paese e continuare il mio viaggio da sola... […]

[La donna si rivolge ad un altro ospedale] “Arrivo, mi sottopongono al tracciato […] facendomi del terrorismo...per loro avrei dovuto già fare il tc! Meno male che erano a favore del VBAC! […]

mi reco al mio secondo tracciato, ma dopo 5 minuti di buone contrazioni l'ostetrica di turno mi visita...sono a 3 cm...oooh!...scopre la mia cicatrice e mi dice testualmente: "Signora vada via subitooooo, vuole metterci nei guai!?" […]

Questa volta le contrazioni sono molto forti […] Sono a 4cm...è un continuo di visite...dopo mezz'ora mi vogliono visitare ancora...mi rifiuto..."lasciatemi in pace dico!" La dottoressa di turno ordina all'ostetrica di iniettarmi un antispastico[…] comincio ad avere tachicardia, sudorazione, agitazione... […] perdo il controllo del dolore...comincio a delirare...anche perché non mi lasciano in pace vogliono farmi un'ecografia, un'altra visita e un altro antispastico...rifiuto tutto! […] Un'ostetrica e due ginecologi... […]Mi ordinano di sdraiarmi su quell’ orrendo lettino da parto...si "mi ordinano"...dico di no...voglio stare in piedi! I due medici cominciano a lamentarsi perché non voglio collaborare, dicono... Mi convincono che devono solo visitarmi e poi mi faranno stare in piedi...ok dico...Mi sdraio, mi attaccano il tracciato e mi infilano le dita...e aspettano lì con le dita....io non resisto più, voglio scendere! […] Non ce la faccio più...grido che voglio stare in piedi! Il medico uomo mi risponde con tono scocciato: "Vuole partorire come gli indiani!? ..a quattro zampe!?" […] mi stacco il tracciato e scendo da quell'inferno di lettino... Quelle bestie di medici mi prendono dalle braccia e con forza mi trascinano sul lettino! […] Mi hanno insultato tutto il tempo, senza un minimo di umanità e di incoraggiamento! Mi fanno un’eco e mi dicono che la bimba è trasversale...e che non sentono più il battito! Grido che mia figlia sta benissimo e che vogliono spaventarmi per farmi il tc....ma poi mi arrendo...non ce la faccio più... non si fa nascere con questo spirito un bambino.... Gli urlo testuali parole: "Avete vintoooo...fatemi il cesareo....avrei dovuto fare un meraviglioso travaglio e invece mi avete portato a questo! ” »

 La storia di questa madre rappresenta una grave forma di abuso che si basa su meccanismi più volte riscontrati nel contesto regionale: spesso la donna che chiede un VBAC viene illusa dall'operatore sanitario che la prende in carico privatamente (spessissimo un ginecologo, figura di riferimento per l'assistenza in gravidanza in Puglia) o dalla sruttura sanitaria, che le promette sostegno sino al momento del parto, per poi costringerla a ripetere un cesareo o tirando fuori dal cilindro magico un qualunque ostacolo dell'ultimo momento oppure tramite un'assistenza inappropriata, tale da creare realmente l'emergenza.

La tipologia e la qualità dell'assistenza è, a nostro parere, l'elemento centrale che fa la differenza e gioca un ruolo fondamentale nella promozione del VBAC. Non basta accogliere la richiesta di una donna precesarizzata di tentare un parto vaginale (e già questo, in Puglia, non è per niente scontato): solo attraverso un'assistenza salutofisiologica, rispettosa cioè di quella donna, delle sue peculiarità e della fisiologia dell'evento, è possibile promuovere realmente la buona riuscita del parto. Questo vale in un qualsiasi parto, ancor più in un VBAC.
Per dare riscontro a questo assunto abbiamo avviato una piccola indagine regionale con lo scopo di mettere a confronto, da una parte, i dati numerici dei pochi ospedali pugliesi aperti al VBAC con quelli, significativi, dei VBAC assistiti in casa dalla Dott.ssa Santoro; in un secondo momento abbiamo somministrato un questionario a quasi una sessantina di donne pugliesi che hanno cercato o stanno cercando di avere un VBAC, sia in ospedale che in casa, mettendo a confronto le risposte dei due gruppi di donne. L'obiettivo non è promuovere il parto in casa ma, poichè si parte dal presupposto che l'assistenza domiciliare sia un'assistenza di tipo salutofisiologico, l'intento è quello di indicare una strada -quella di un'assistenza appropriata- eventualmente percorribile in qualunque luogo.

Sono stati dunque individuati 6 ospedali dislocati
un po' su tutto il territorio pugliese, gli unici che, alla data dell'indagine, si definivano favorevoli al VBAC. I dati che siamo riusciti a raccogliere sono purtoppo fortemente frammentari, ciononostante risulta evidente lo stridente contrasto rispetto i VBAC domiciliari per quanto riguarda la percentuale di VBAC riusciti rispetto al totale dei parti: circa l'1% contro il 35% dei parti in casa (per maggiori dettagli è possibile consultare le diapositive).
Su 39 donne preTC che hanno chiesto assistenza domiciliare, la percentuale di VBAC riusciti è del 90%, con solo 4 TC ripetuti (10%). E' doveroso sottolineare che, per nessuna di loro, sono state riscontrate rottura d'utero o altre conseguenze gravi.
Nonostante le Linee Guida dell'associazione nazionale sul parto in casa indichino il pregresso cesareo tra le controindicazioni all'assistenza domiciliare, la richiesta da parte delle donne è elevata e gli esiti eccellenti. Si deduce che, tra le cause di questo fenomeno, ci sia un inadeguato sostegno al VBAC in molte strutture ospedaliere.

A seguito dellla somministrazione del questionario alle donne
(che costituiscono un campione selezionato, più informato sul tema del VBAC rispetto alla media e, quindi, con maggiori possibiità di successo) si è operata una distizione in due gruppi: donne che hanno scelto l'assistenza domiciliare al travaglio e/o parto (33 di loro) e donne che hanno scelto l'assistenza ospedaliera (20 di loro). Nel primo gruppo il VBAC è riuscito nel 94% dei casi, nel secondo gruppo nel 45%.
Ma quel che colpisce maggiormente, forse più delle percentuali, è la tipologia di risposte da parte degli operatori sanitari alla richiesta di assistenza al parto dopo cesareo, come riportato dalle intervistate: emerge una grande chiusura, rifiuto all'assistenza, informazioni inappropriate e non supportate scientificamente, numerosi limiti arbitrari, relativi all'età gestazionale (travaglio avviato entro la 39a settimana), alla distanza dal pregresso cesareo, al numero di cesarei subiti (mentre le Linee guida dell'ISS lo raccomandano anche dopo 2 cesarei e, tra le donne assistite in casa, ci sono buoni esiti anche dopo 3 cesarei), all'esito di particolari esami (misurazione del segmento uterino inferiore).*
Un'alta percentuale delle donne intervistate (81%) ritiene che il tipo di assistenza ricevuta abbia inciso sull'esito del proprio travaglio dopo cesareo.

Questa è la situazione in Puglia.
Ma purtroppo non è un problema solo pugliese, considerato che la percentuale media  di cesarei in tutta Italia è del 36,3% (dati ISTAT del 2013) e rappresenta il più alto tasso in Europa. Se ne deduce che, su tutto il territorio nazionale, vi sia un elevato numero di donne precesarizzate. Che tipo di assistenza incontrano qualora desiderino un parto dopo cesareo?
In tutta Italia sono pochi gli ospedali che sostengono e promuovono il VBAC, e soprattutto che non assistano il parto di una donna precesarizzata come un parto ad alto rischio.
E' indicativo il modo in cui viene definito il travaglio di una donna precerizzata: travaglio di prova, a voler sottolineare che si tratti di un tentativo dall'esito incerto, senza grandi possibilità di riuscita. Se si pensa al potere delle parole sulla mente, si può facilmente comprendere come questa definizione sia fortemente demotivante.

Secondo il Ministero della Salute negli ultimi anni si sta registrando un calo complessivo dell'incidenza dei tagli cesarei in quasi tutte le regioni italiane, pur rimanendo ancora quasi ovunque su percentuali elevate.(in nessun caso rispettose della soglia del 15% consigliata dall'OMS). Di un certo impatto è la valutazione del numero di tagli cesarei potenzialmente inappropriati: 53.557 nel solo anno 2013. Le regioni Campania, Sicilia e Lazio presentano circa il 50% dei tagli cesarei non necessari.
















Concludo questa riflessione sull'eccesso di cesarei e sul percorso che una donna può intraprendere dopo averne subito uno, con le parole di una splendida ostetrica che, da donna e professionista, conosce molto bene la questione, e al cui libro tengo in modo particolare, sentendomi unita all'autrice dalla mia esperienza di madre precesarizzata che ha conosciuto la gioia di un parto dopo cesareo e che questa gioia, consapevole ed informata, cerca di trasmetterla alle altre donne con impegno, cuore e costanza:


La pluralità delle fonti è molto importante, non dovrebbe bastare che qualcuno ti dica: «Non si può fare», per fermarti. Come d’altro canto non può bastare che qualcuno ti dica: «Lo devi assolutamente fare» per farti decidere di affrontare un percorso che non ti fa sentire sicura. L’unica che sa quello che è realmente meglio per te e il tuo bambino sei tu. Ascoltati e troverai la risposta.
Ivana Arena, Dopo un cesareo
 Denise Montinaro

(*) Visualizza il Pdf completo della relazione

 

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